La parola asana significa “posizione” e deriva dalla radice sanscrita as, “restare, sedere, stare in una determinata posizione“. Nei testi tradizionali l’asana è descritta come una combinazione di Sukha (comodità/durata) e Sthira (stabilità/fermezza).
Quando pratichiamo yoga, a volte, questi due aspetti possono sembrarci incompatibili; lo yoga ci mette in condizione di esercitare la mente a vedere le cose in modo meno conflittuale e duale. Questo è possibile attraverso l’auto-osservazione, la conoscenza di sè, la sperimentazione e l’accettazione del proprio limite.
Come nel corpo una base solida e ben radicata a terra è indispensabile per poter sviluppare la posizione, così nell’atteggiamento con cui affrontiamo le asana la base è la conoscenza e l’accettazione del proprio punto di partenza.
Accogliere il nostro limite ci permette di entrare in contatto con la nostra essenza: solo partendo da lì possiamo progredire in modo creativo e sano per noi stessi.
Normalmente, anziché amare e usare i nostri limiti come guida per il percorso che vogliamo fare, li releghiamo in una zona d’ombra, cercando quanto prima di allontanarci da essi: diamo al limite un’accezione negativa, invece di considerarlo semplicemente una caratteristica soggettiva da cui partire, senza giudizio, per esplorare il nostro mondo psico-fisico.
Ma, se non siamo radicati nella nostra base, il nostro percorso di evoluzione sarà faticoso e privo di piacere e ci lascerà sempre insoddisfatti e fragili.
Allora, perché in un’asana siano presenti Sukha e Sthira, lo sguardo deve essere rivolto verso l’interno all’auto-osservazione e, contemporaneamente, verso l’esterno nella direzione della posizione perfetta, così che il nostro percorso graduale e costante abbia la caratteristica dell’attenzione senza tensione e del rilassamento senza torpore.
In questo modo raggiungeremo una fusione armonica tra ideale (posizione perfetta) e reale (il proprio punto di partenza), senza identificarci in nessuno dei due aspetti, ma stabilizzandoci nel centro.